Levice
La chiesa di San Rocco
La chiesa di San Rocco a Levice presenta un ciclo di affreschi che fonde elementi tardogotici ad anticipazioni dello stile rinascimentale, testimoniando una notevole evoluzione artistica locale. Nei suoi pressi, la scoperta recente dei resti di una fabbrica medievale al di sotto della struttura settecentesca della chiesa di Sant'Antonio Abate arricchisce la comprensione della storia religiosa e sociale di questa antica terra aleramica.
Il luogo di Levice, che si estende sul crinale della collina che separa le valli Bormida e Uzzone, fu menzionato per la prima volta in un diploma imperiale del 967. Meno di trent’anni dopo, nel 991, alcuni terreni di Levice furono inclusi nella fondazione imperiale del monastero benedettino di San Quintino a Spigno Monferrato. L’insediamento compare in altre fonti documentarie, tra cui una citazione del 1209 nel Codex Astensis, e circa mezzo secolo più tardi il castrum (la cui struttura difensiva oggi è ridotta a ruderi) e il nucleo urbano di Levice risultano assegnati a Enrico del Carretto, in occasione della divisione fra gli eredi del defunto Giacomo. Divenuto poi parte del marchesato di Prunetto, entra nel controllo degli Scarampi e a inizio Settecento è annesso definitivamente ai territori dei Savoia.
La chiesa di San Rocco
La chiesa di San Rocco si trova fuori dal nucleo urbano in una posizione strategica, all’incrocio di importanti vie di passaggio commerciali, di pellegrinaggio e di accesso al centro abitato di Levice. Edificata in epoca altomedievale, la cappella si potrebbe riconoscere verosimilmente nell’antica parrocchiale intitolata a San Donato, menzionata dalla fine del XII al XVI secolo come situata al di fuori dall’abitato: di questo primo modesto edificio, che possedeva una semplice architettura, è conservato l’abside che ospita ancora oggi suggestivi affreschi tardogotici.
L’analisi delle murature esterne permette di osservare come oltre alla struttura absidale (che conserva una tipica copertura in pietra), anche parte dei muri perimetrali, fino alla “rientranza” circa a metà della muratura laterale, appartengono probabilmente al primo nucleo costruttivo.
La titolazione a San Rocco fu cambiata all’inizio del Seicento (secondo i registri diocesani) probabilmente in riferimento a un’epidemia, data anche la presenza in dipinto dei santi taumaturgici San Sebastiano e San Rocco, come voto della comunità ai Santi protettori dei malati di peste.
Ai primi decenni dello stesso secolo sono riferibili alcuni ampliamenti strutturali dell’edificio: la fabbrica viene ridotta a unica navata, allungata e arricchita da un altare policromo tipicamente di gusto barocco, con tabernacolo in stucco, che è tutt’ora presente.
Sebbene l’abbellimento pittorico sia da ricondurre all’inizio del Cinquecento il modello compositivo e iconografico è ancora pienamente di riferimento medievale: nel catino absidale uno sproporzionato e sorridente Cristo Pantocratore, assiso sul trono nel giorno del Giudizio, tiene la mano destra nell’atto di benedire e nella sinistra il Vangelo aperto.
Nella parte inferiore una Madonna con il Bambino rappresenta il centro focale attorno al quale si dispone una serie di personaggi significativi per la devozione popolare, identificati da un’iscrizione posta al di sopra del loro capo: da sinistra a destra, San Rocco e San Sebastiano, San Giuseppe e Santa Lucia, con i propri attributi distintivi. San Rocco è riconoscibile nella sua iconica rappresentazione con cappello, borraccia e bastone mentre mostra la ferita della peste, un bubbone infiammato e reciso, accompagnato da un segugio randagio, e accanto a lui San Sebastiano si mostra trafitto dalle frecce del martirio. Simmetricamente, al di là della coppia mariana, sono posti San Giuseppe e Santa Lucia. Quest’ultima stringe una lampada, e gli occhi, simbolo del suo supplizio, non sono più rappresentati serviti su un vassoio, ma nella più attuale raffigurazione rinascimentale dell’ampolla. I Santi sono raffigurati in posizione eretta, immersi in un contesto architettonico che, anziché richiamare i più consueti archetti gotici, propone un’intenzione prospettica e una decorazione realistica. Essi sono posizionati di tre quarti, come se fossero immersi in una disposizione organizzata e scenografica che li orienta verso la Madonna con il Bambino.
Il medesimo studio spaziale emerge anche nella costruzione del ricercato trono della Madonna, inserito in un naturalistico e florido giardino, delimitato da un basso parapetto in pietra. La calotta absidale e la fascia intermedia della Teoria di Santi sono raccolte e incorniciate da un ricco apparato vegetale, che riprende anche variopinti festoni, greche a trama vegetale e geometrica. Un ricco decorativismo evidenzia anche le vesti, come la bordatura floreale del manto della Vergine, o piccoli motivi che ornano mantelli e casacche dei Santi.
L’anonimo pittore, conosciuto come il Maestro di Levice, presenta una tra le prime aperture rinascimentali finora riscontrabili sul territorio a quel periodo: questo si manifesta attraverso uno studio spaziale più avanzato, accompagnato da una caratterizzazione dei personaggi più realistica e dalla rappresentazione di una grazia cortese sublime, enfatizzata dalla scenografia ambientale. Il Maestro, con i suoi collaboratori, non rinuncia però all’utilizzo di rassicuranti e diffusissimi stilemi arcaici, come alcuni cornici vegetali di riempimento, la decorazione a stampini, la composizione scenica o ancora il motivo del Bambino Gesù con il cardellino.
Nel ciclo pittorico si riconosce poi lo stemma nobiliare dei Del Carretto, un rombo a fondo ocra percorso da bande trasversali rosse, ripetuto più volte accanto alle lettere A e R: Levice, che fu feudo carrettesco sin dal XIII secolo, nel 1499 venne consegnato a Raffaele del Carretto, sotto la cui reggenza è stata tradizionalmente attribuita la campagna pittorica.
Una testimonianza medievale nascosta
Menzionata e descritta per la prima volta in occasione della visita pastorale del 1574 all’interno del centro abitato di Levice, la chiesa di Sant’Antonio Abate viene indicata come l’edificio sacro in cui si celebrano abitualmente gli offici liturgici per la comodità della popolazione.
Questo avvallerebbe l’identificazione della prima parrocchiale di San Donato nell’attuale cappella di San Rocco, citate entrambe nelle fonti sempre al di fuori dal recinto urbano. La preesistenza della più antica chiesa di Sant’Antonio Abate è anche riconosciuta da alcuni scavi archeologici, condotti a inizio anni Duemila, che hanno identificato i resti di una precedente fondazione di epoca medievale “nascosta” nel rifacimento settecentesco (1766-76). Il primitivo impianto, che prevedeva una chiesa a tre navate terminante in un’abside semicircolare, è ancora rispettato oggi nella sua riedificazione tardobarocca, con la sopraelevazione dell’antico campanile tardoromanico nella nuova cella campanaria.