Sale
La chiesa di Santa Maria e San Siro
La chiesa di Santa Maria e San Siro è il risultato dell'unione devozionale e “fisica” di due chiese distinte: una dedicata a San Siro, documentata fin dal 1160 sul vecchio corso del Tanaro, e una cappella ad essa collegata nel borgo, dedicata a Santa Maria. Oggi, nel suo rifacimento gotico, conserva alcuni interventi pittorici quattrocenteschi nella cappella maggiore e nella navata sinistra, che riflettono appieno l'influenza artistica della corte pavese.
Oltre il fiume Bormida, tra il Tanaro e la Scrivia, il luogo di Sale è riconosciuto come un importante avamposto del comune di Pavia, divenuto poi dominio milanese, con un periodo di controllo da parte di Borso d’Este tra il 1443 e il 1470. Un episodio storico e politico di rilevanza nella contesa tra la Lega Lombarda e l’Imperatore avvenne proprio a Sale, quando il 24 giugno 1165 venne siglato il trattato di pace tra Tortonesi e Pavesi, alla presenza dell’Imperatore Federico Barbarossa, precisamente nel luogo della chiesa di Santa Maria, sita nel recinto urbano.
La chiesa di Santa Maria e San Siro
L’attuale chiesa di Santa Maria e San Siro è in realtà il frutto dell’unione devozionale e “fisica” di due differenti chiese, una intitolata a San Siro e ubicata extra locum – ovvero al di fuori del borgo (la troviamo documentata nel 1160 eretta sul vecchio corso del Tanaro, fuori dal centro abitato) e una cappella nel nucleo urbano, alle sue dipendenze, dedicata a Santa Maria. Quest’ultima, presente sin dalla seconda metà del XII secolo, diviene riferimento per la comunità. Citate divise ancora nel 1425, la doppia titolazione compare documentata dalla seconda metà dello stesso secolo. La particolarità di questa chiesa risiede anche nel fatto che, a differenza delle altre due parrocchie presenti nel paese, ovvero San Calocero (del XVI secolo) e San Giovanni (del X secolo), la chiesa di Santa Maria e San Siro fece parte della Diocesi di Pavia fino al 1805. Questa affiliazione culturale alla diocesi di Pavia è evidente nelle scelte artistiche che abbelliscono la chiesa, così come nell’origine di alcuni dei suoi committenti.
Il parroco Don Stramesi, custode prezioso delle memorie di Sale, nelle sue memorie descrive come, all’inizio dell’Ottocento, fossero ancora visibili i resti della primitiva chiesa di San Siro, ormai ridotti in massi che furono riutilizzati dalla popolazione. Nel 1936, la chiesa di Santa Maria e San Siro cessò di essere parrocchia e nel 1941 fu eletta a Santuario della Madonna della Guardia. Alla soppressione della parrocchia seguì la demolizione di alcune cappelle laterali, invero alla metà del XVI secolo erano presenti ben undici cappelle, munite di altari e affreschi alle pareti.
I lavori di restauro e di ripristino di inizio Novecento furono supervisionati dall’allora arciprete di Pontecurone, Don Franzosi, con l’intento di restituire all’edificio la sua configurazione originaria, e permisero di far riemergere una parte della splendida decorazione tardomedievale che adornava le pareti, le volte e i pilastri della chiesa. Oggi infatti la chiesa si presenta nella sua ricostruzione gotica tre-quattrocentesco e ospita al suo interno arredi lignei e mobili dei secoli XVI e XVII, frutto dell’attività assistenziali di vari gruppi laici e di altre chiese salesi oggi non più esistenti.
Nella sua forma architettonica, la chiesa di Santa Maria e San Siro è stata dichiarata affine alle chiese “a sala” della regione pavese, in particolare della Lomellina. Nella sua tecnica costruttiva, invece, si riconosce il modello cistercense, evidente nella scelta della pietra grezza, nella ripetizione di moduli geometrici, nell’orientamento dell’abside quadrangolare verso oriente e nell’uso di volte a crociera con arcate ogivali costellate (un confronto significativo è con la vicina abbazia di Santa Maria a Rivalta Scrivia). La facciata di stampo gotico mostra alcuni accenni interpretati già come rinascimentali: i tre portali, di cui quello centrale maggiore, sono incorniciati da raffinati ordinamenti in cotto che accentuano il loro profilo acuto. Il crollo del campanile nel 1704 ha causato danni parziali anche alla facciata e l’unica parte originale rimasta è il portale di destra, caratterizzato da una decorazione che definisce l’andamento architettonico con un repertorio di raffigurazioni geometriche in terracotta molto diffuse nell’area, come piccole croci e rosette a quattro petali.
Nonostante gli abbellimenti e le superfetazioni successive, anche nella decorazione pittorica si scorgono mirabili brani di pittura tardogotica, di ambito lombardo e piemontese, rappresentando dei punti di riferimento significativi nella fervente stagione regionale. Gli interventi pittorici del Quattrocento nella cappella maggiore e nella navata di sinistra riflettono appieno l’influenza artistica pavese e sono legati a patronati locali, a partire dall’abside che presenta una notevole sintesi del gusto tardogotico ancora presente nella corte sforzesca di Pavia. In questa sezione, due abili maestri si alternano attorno al 1460, offrendo una pittura estremamente sofisticata sia nel decorativismo che nella realistica resa delle forme, nonché nelle scelte compositive e formali. In particolare, la volta del presbiterio mostra, nelle vele, i quattro Evangelisti seduti su troni finemente lavorati, emergenti da un paesaggio roccioso (questa decorazione si sovrappone a un precedente schema decorativo che seguiva il profilo architettonico della struttura). Nella parete laterale sinistra del presbiterio, entro una bellissima cornice a motivi floreali, si trovano due coppie di angeli, visibili solo parzialmente, che facevano parte della tomba dei fratelli Maggi, come tramandato dalla tradizione storiografica, e poi rimossa in epoca napoleonica. La famiglia Maggi esercitava un patronato sulla cappella absidale dedicata a Santa Maria delle Grazie fin dal 1456. Dalla cerchia proprio dei Maggi dovette provenire un ricco speziale milanese, a cui è stata ricondotta la committenza di un polittico eseguito dalla bottega degli Zavattari, tra il 1458 e il 1459, il quale è stato identificato nella “maestosa ancona” posta sull’altare della cappella maggiore, ricordata nelle visite pastorali della prima età moderna.
La chiesa custodisce una notevole serie di singoli pannelli votivi, eseguiti tra il XV secolo e l’inizio di quello successivo, come un minuto San Francesco, affrescato nell’estradosso del pilastro che da accesso alla cappella terminante della navata sinistra.
Agli anni Trenta e Quaranta del XV secolo sono assegnabili alcuni mirabili affreschi conservatisi nella cappella ricavata nella quarta campata della navata sinistra: un brano che mostra la Deposizione del Cristo morto e a lato una Crocifissione, quest’ultima con lo stemma della famiglia Ricci, individuata come probabile committente. L’evidente matrice lombarda si riconosce anche nelle due splendide figure di Santi negli sguinci della finestra di questa parete, raffigurati San Sebastiano e un San Bovo o un Santo guerriero, come se fossero una trasposizione monumentale dei celebri tarocchi della corte milanese.
In fondo alla navata sinistra la cappella di San Nicola, associata negli studi anche alla famiglia Calvi, ospita nei due pilastri di accesso i pannelli votivi a sinistra di Sant’Eligio e a destra di Santo Stefano. Il trittico affrescato che occupa parte della parete destra presenta la Vergine in trono attorniata da Sant’Antonio Abate e San Sebastiano, in basso a sinistra due figure oranti, elegantemente vestite. Sopra la cornice corre la data MCCCCLII (1452), seguita da una scritta parzialmente decifrabile («mensis julii presbiter [..] Martianus Caretis»). Il rimando agli interventi pittorici eseguiti a Cassine (San Francesco) e ad altri interventi locali è molto sostenibile: oltre al fregio decorativo della cornice, anche la figura del Sant’Antonio Abate mostra una stringente affinità. Ad una attenta osservazione, si potranno notare le punzonature che motivano la corona della Madonna, le quali esprimono oltre a un gusto raffinatissimo, anche una prassi medievale ancora accuratamente seguita.