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Mombarcaro

L’antica parrocchiale di San Pietro

La presenza del pittore Antonino Occelli da Ceva a Mombarcaro, nelle chiese di San Pietro (ora in San Michele) e di San Rocco, costituisce il primo esempio territoriale di abbellimento pittorico pienamente rinascimentale, evidente nella sua maestria artistica, nella composizione iconografica e nella scelta dei motivi decorativi classicheggianti.

Tra i più elevati insediamenti dell’Alta Langa, situato a circa 900 metri sul livello del mare e incastonato tra le valli della Bormida e del Belbo, il luogo di Mombarcaro è menzionato nei documenti storici tra l’XI e il XIII secolo in ragione della presenza di possedimenti appartenenti al monastero di San Venerio del Tino e della cella benedettina di San Benedetto Belbo. Quest’ultima è poi attestata in un documento del 1325 della diocesi di Alba, dove viene identificata come “Sancti Benedecti de Montebarchari”. Nel 1212 è ricordata anche una chiesa di Santa Maria, con cimitero annesso, di cui però non si hanno successivi riscontri nella documentazione medievale e nei monumenti ad oggi sopravvissuti. Dal punto di vista politico e amministrativo fece parte dei possedimenti dei Marchesi di Ceva e appartenne in seguito al Marchesato del Monferrato e di Saluzzo fino a quando fu assorbito nel controllo dei Savoia.

L’antica parrocchiale di San Pietro

L’antica parrocchiale di Mombarcaro, forse di origine benedettina (non molto distante vi era il monastero benedettino di San Benedetto Belbo), portava la titolazione a San Pietro. Di costruzione romanica, è decentrata rispetto al borgo e appare oggi in uno stato quasi di rudere: non esiste più il tetto e sopravvivono le mura perimetrali dell’unica navata che terminava in un’abside semicircolare. Dal Cinquecento è ricordata nelle visite pastorali come la chiesa vetusta, aperta, senza la porta, che non ospita più la cura delle anime. Gli affreschi dell’abside e di una parte della navata sinistra dell’antica parrocchiale di San Pietro furono strappati e ricollocati nel 1980 nell’attuale parrocchiale di San Michele, nel centro del paese. 

Fotografie storiche antecedenti al trasferimento rivelano che le pareti laterali della navata erano ornate da frammenti di affreschi. Sulla parete destra, in particolare, si notavano le raffigurazioni di alcuni Santi: partendo da sinistra, si poteva osservare un festone bianco e rosso, la figura di Sant’Antonio Abate, San Sebastiano durante il suo martirio e San Rocco mostrante la ferita della peste.

L’intervento pittorico nell’abside è particolarmente rinomato per la presenza dell’artista Antonino Occelli da Ceva. Consapevole del suo ruolo come artista rinascimentale, lascia le sue prime tracce autografe, con firma, provenienza e data del 1519. La decorazione mostra due interventi distinti dello stesso pittore, identificabili in due fasi diverse, separate da un intervallo di dieci anni. La prima composizione nell’abside presenta la Madonna con il Bambino in trono, circondata dai Santi Pietro e Giovanni Battista, in una scenografia ormai pienamente rinascimentale, evidente nella costruzione del trono, nelle vesti, nell’ambientazione paesaggistica e nei decori d’apparato a tema classico, composti di mascheroni, animali quadrupedi alati, vasi e candelabri.

Nella parte inferiore dell’emiciclo, un pannello devozionale mostra San Pietro, di nuovo la Vergine in trono con il Bambino e San Bernardino da Siena datati 15 novembre 1533. All’intervento dell’artista nel registro mediano si accostano pannelli votivi trecenteschi, raffiguranti un San Giacomo Maggiore e un San Paolo, stanti, a dimensioni monumentali, entro riquadri multicolore, ma compromessi dalle “spicchiettature” e dai segni del descialbo. Tra questi e l’intervento del trittico di Antonino c’è un altro pannello, che si differenzia e mostra un’altra figura di San Bernardino da Siena, di qualità minore, purtroppo gravemente compromessa.

Lo straordinario strappo degli affreschi della pieve di San Pietro

La pieve romanica di San Pietro, che si ergeva isolata su una collina a Mombarcaro, presentava gravi problemi di instabilità strutturale, tanto che il tetto cedendo aveva bloccato l’acceso. Di fronte a questa situazione critica, fu necessario un intervento urgente da parte della Soprintendenza, l’organismo statale responsabile della tutela del patrimonio storico-artistico. Nel luglio del 1976 fu eseguito l’intervento di rimozione con la tecnica dello “strappo” a opera dei restauratori Guido e Gianluigi Nicola, con la sorveglianza dei Carabinieri per evitare furti, molto comuni in zona in quel periodo. 

Essendo impossibile ricollocarli in loco, si decise di sistemarli nella parrocchiale di San Michele, da poco eretta nel centro urbano, per il quale il Parroco si adoperò a modificarne la forma architettonica: nella cappella laterale sinistra, infatti, fu sfondato il muro perimetrale e costruito l’incavo di un finto abside semicircolare. Nel laboratorio di restauro ad Aramengo, nell’astigiano, venne creata una finta struttura in vetroresina rinforzata da un’armatura in ferro, a fedelissima riproduzione delle dimensioni dell’abside primitivo, la quale venne poi ricomposta nello spazio murario predisposto nella moderna parrocchiale. Per ridurre al minimo l’alterazione della percezione visiva, della completa fruizione e dell’autenticità degli affreschi vennero collocate le diverse campagne pittoriche a una profondità differente, rispettando i successivi momenti di esecuzione, con un preciso intento didattico-illustrativo.
Si tratta di uno straordinario, quanto delicatissimo, esercizio di tutela, compiuto negli anni Settanta dello scorso secolo, in piena sinergia tra autorità locali, statali e la comunità religiosa.

Chiesa di San Rocco

L’anno prima del secondo passaggio in San Pietro, il 1532, Antonino Occelli decora abilmente la cappella campestre di San Rocco, esempio di chiesa quattrocentesca posta lungo importanti vie di transito, soprattutto di pellegrinaggio. Fu rimaneggiata e utilizzata più volte come lazzaretto e pertanto le imbiancature a scopo igienico-sanitario hanno permesso in parte la conservazione dei pigmenti.
La parete absidale, benché sconnessa dall’altare settecentesco, ospita una serie di Santi cari alla devozione popolare locale, tra cui Sant’Antonio Abate, San Michele Arcangelo, San Bernardo d’Aosta e i Santi taumaturgici Rocco e Sebastiano.

Sulla parete destra, gli affreschi coprono integralmente lo spazio, suddiviso in riquadri separati da cornici, organizzati in tre registri. Iniziando dall’alto, troviamo una rappresentazione scenografica e paesaggistica del Martirio di San Sebastiano. Quattro episodi successivi si susseguono nello spazio intermedio: la rappresentazione della Trinità, le Tentazioni di Sant’Antonio Abate (sviluppate in due scene consecutive), il Miracolo dell’impiccato salvato da San Domenico della Calzada, e infine un Santo che tiene in mano un mazzo di frecce, probabilmente legato a un supplizio. I due episodi relativi alla vita del santo spagnolo sono inseriti in un’ambientazione cortese con un particolareggiata descrizione delle eleganti vesti (a motivo damascato). Si rivelano anche i segni di un tentativo di un furto: il rettangolo inciso attorno ai volti del governatore e della consorte denunciano proprio uno sforzo di asportarne i ritratti. La raffigurazione pittorica del Miracolo del gallo e della gallina si trova anche in altri due siti nella zona del Monregalese (nella cappella di Sant’Anna a Niella Tanaro e nella cappella di San Bernardo a Piozzo), eseguiti a breve distanza temporale, testimoniando quanto il pellegrinaggio verso la tomba di San Giacomo fosse ancora praticato nel corso del XVI secolo e attraversasse anche Mombarcaro.

Al posto della consueta zoccolatura a velario tardogotica scorre invece la Cavalcata dei Vizi, in cui le personificazioni dei vizi capitali si dirigono in un cadenzato corteo verso la bocca del Leviatano, raffigurato nelle sembianze di un mostruoso rettile con affilati denti. 

La presenza a Mombarcaro del rinascimentale pittore Antonino Occelli si riscontra anche nel Santuario della Madonna delle Grazie (nella frazione di San Luigi, nella strada che accede al nucleo urbano principale, opposta rispetto alla cappella di San Rocco), dove un anonimo seguace, o più verosimilmente un suo collaboratore, esegue a fresco un riquadro della Madonna con il Bambino accanto ai Santi Antonio Abate e Giovanni Evangelista, che è attualmente collocato come se fosse la pala d’altare. Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile sostenere se l’opera fu realizzata nel luogo appositamente o successivamente fu trasportata, dato che si tratta di un brano dipinto a fresco e staccato.

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