Sale San Giovanni
L’antica parrocchiale di San Giovanni Battista
A Sale San Giovanni alcuni mirabili esempi di pittura medievale possono essere ammirati nell’antica pieve di San Giovanni, che custodisce variopinti affreschi duecenteschi nel catino absidale, e nella cappella di Sant’Anastasia, che si erge in una straordinaria posizione geografica.
La prima menzione documentata del luogo di Sale San Giovanni risale al diploma ottoniano del 998, dove è elencato tra le località concesse ai vescovi di Savona. Ulteriori testimonianze sono rintracciabili in altre fonti documentarie, tra cui conferme di possesso in pergamene imperiali datate 999 e 1014. A partire dal XIII secolo, Sale San Giovanni è annoverato tra i territori soggetti al Marchesato di Ceva, come confermato dalle Costituzioni Isnardi della Diocesi di Alba del 1325. Gli statuti comunali di inizio XIV secolo, stipulati tra i cittadini e il Marchese di Ceva, attestano invece la presenza del paese di Sale San Giovanni all’interno dei domini del Marchesato già nel 1135.
L’antica parrocchiale di San Giovanni Battista
L’antica parrocchiale altomedievale di San Giovanni Battista, costruita con pietra arenaria locale da esperte maestranze, è il nucleo originario intorno al quale si è sviluppato il centro abitato. Questa costruzione primigenia, probabilmente risalente alla fine dell’XI o all’inizio del XII secolo, conserva ancora tracce della sua tessitura muraria originale nell’abside. Inizialmente composta da tre navate con absidi semicircolari, nel Settecento la navata di destra fu demolita per far spazio alla sagrestia. La muratura originale si riconosce oggi da blocchi di dimensioni diverse utilizzati nella parte absidale e nei fianchi.
Fino al 1380, l’edificio era ancora riconosciuto come sede parrocchiale, ma verso la fine del Cinquecento, nonostante rimanesse il principale luogo di culto della parrocchia e fosse regolarmente utilizzato per le funzioni religiose, con annesso un cimitero, i sacramenti venivano celebrati nella chiesa di San Siro, situata nel nucleo abitato accanto al castello, per comodità della popolazione.
Al suo interno conserva un singolare e diversificato campionario di pittura attestabile tra il XIII e il XVII secolo. Entrando, sulla destra, i resti di un brano pittorico raffigurante i volti di due Sante in preghiera, fanno presagire la presenza di altri interventi di abbellimento pittorico due-trecentesco ad oggi scomparsi.
Il catino absidale ospita un imponente Cristo in Maestà nelle vesti del Giudizio Finale attorniato dal Tetramorfo, ovvero i simboli dei quattro Evangelisti, ai lati la Madonna e San Giovanni Battista e all’estremità destra Santa Margherita con il drago. Sull’arco trionfale è rappresentato a sinistra l’Angelo Annunciante. Un fregio multicolore ornato da motivi a filarmonica e vegetali accompagna e delimita le scene religiose.
Nelle navate, tre pannelli votivi legati a committenze private si distinguono per qualità esecutiva e rientrano pienamente nel catalogo di quelle botteghe itineranti che alla fine del Quattrocento si muovevano lungo il fiume Bormida, utilizzando modelli ancora tipicamente medievali. Sono esempi di religiosità popolare che, presentati incorniciati, a livello del campo visivo dell’osservatore, a grandezze reali, suggellavano il legame con il committente.
Nel secondo pilastro a sinistra spicca la figura San Sebastiano in vesti cortesi, con una folta chioma bionda e un cumulo di frecce che alludono al suo martirio. Nel pilastro successivo si trova San Secondo con il modellino della città di Asti di cui è protettore, mentre sul lato opposto della navata, nel primo pilastro, è collocata una notevole Madonna con il Bambino, in parte danneggiata.
Al suo interno conserva un singolare e diversificato campionario di pittura attestabile tra il XIII e il XVII secolo. Entrando, sulla destra, i resti di un brano pittorico raffigurante i volti di due Sante in preghiera, fanno presagire la presenza di altri interventi di abbellimento pittorico due-trecentesco ad oggi scomparsi.
Il catino absidale ospita un imponente Cristo in Maestà nelle vesti del Giudizio Finale attorniato dal Tetramorfo, ovvero i simboli dei quattro Evangelisti, ai lati la Madonna e San Giovanni Battista e all’estremità destra Santa Margherita con il drago. Sull’arco trionfale è rappresentato a sinistra l’Angelo Annunciante. Un fregio multicolore ornato da motivi a filarmonica e vegetali accompagna e delimita le scene religiose.
Nelle navate, tre pannelli votivi legati a committenze private si distinguono per qualità esecutiva e rientrano pienamente nel catalogo di quelle botteghe itineranti che alla fine del Quattrocento si muovevano lungo il fiume Bormida, utilizzando modelli ancora tipicamente medievali. Sono esempi di religiosità popolare che, presentati incorniciati, a livello del campo visivo dell’osservatore, a grandezze reali, suggellavano il legame con il committente.
Nel secondo pilastro a sinistra spicca la figura San Sebastiano in vesti cortesi, con una folta chioma bionda e un cumulo di frecce che alludono al suo martirio. Nel pilastro successivo si trova San Secondo con il modellino della città di Asti di cui è protettore, mentre sul lato opposto della navata, nel primo pilastro, è collocata una notevole Madonna con il Bambino, in parte danneggiata.
La cappella di Sant’Anastasia
La cappella di Sant’Anastasia, nota localmente anche come Sant’Anna, sorge in una posizione geografica straordinaria, isolata dal nucleo abitato e posta sulla sommità di un crinale. Questa cappella era una dipendenza del monastero benedettino di San Stefano Belbo o San Benedetto, a partire dal 1050. Si trovano riferimenti storici che indicano nel paese di Sale la presenza di proprietà nell’atto di fondazione dell’abbazia di Santa Maria di Castiglione e, a partire dal 1281, quattro poderi tra Priero e Sale furono ceduti dal priore al Marchese di Ceva in cambio della corresponsione annua di due pietre di mulino estratte dalla “mollaria sallarum” e consegnate proprio presso l’antica chiesa di Sant’Anastasia.
La località in cui è situata la chiesa è ancora oggi conosciuta come la “Gamellona”, un termine il cui significato non è completamente chiaro: potrebbe fare riferimento alla locuzione longobarda che indica una terra comunitaria, oppure al contenitore utilizzato dai monaci per servire i viandanti.
Della parte originale della chiesa è rimasta solo l’abside, caratterizzata da una terminazione piatta, mentre la navata principale presenta una larghezza maggiore che suggerisce un successivo ampliamento della struttura, come evidenziato dalla differenza nella muratura alla base del tetto.
Intorno a questa cappella, esistevano delle grange di proprietà dei benedettini, il cui scopo era ospitare i pellegrini, funzione riconosciuta fin dall’antichità, come dimostra il piccolo frammento pittorico di San Giacomo Maggiore, protettore dei pellegrini, realizzato alla fine del Duecento sull’arco trionfale dell’abside. La volta a botte dell’abside conserva tracce di quattro scene dell’Infanzia di Gesù Cristo (Natività, Annuncio ai Pastori, Strage degli Innocenti e Adorazione dei Magi) attestabili tra il XIII e il XIV secolo.
La parete di fondo ospita invece un intervento pittorico successivo, datato al 1493 grazie a un’iscrizione eseguita in punta di pennello sul limite superiore della cornice. Da sinistra verso destra possiamo riconoscere l’episodio di San Bernardo importunato da un diavoletto seguito da Sant’Antonio Abate, San Romeo, nelle vesti di un pellegrino, Sant’Anastasia e infine San Rocco. Termina questa parete un riquadro commissionato pochi decenni successivi raffigurante una Madonna assisa in trono con il Bambino, con accanto San Giovanni Battista e un angelo musicante: questo pannello votivo, in parte alterato da incauti ritocchi recenti, probabilmente è legato a un privato ringraziamento devozionale e denuncia un repentino cambio di gusto artistico, dal momento che nasconde un altro strato pittorico.
La cappella di San Sebastiano
Poco distante, una piccola cappella tardomedievale all’accesso del nucleo cittadino doveva proteggere gli abitanti dalla peste: è intitolata a San Sebastiano, santo invocato a protezione delle epidemie. L’edificio si presenta come una semplice aula quadrangolare, senza l’abside, con i segni visibili di un antico portico annesso al lato meridionale ormai tamponato. In origine si trovava un altare addossato al lato settentrionale (l’orientamento della cappella risulta essere in maniera inconsueta nord / sud). La cappella porta i segni di ripetute modifiche: come mostra anche l’andamento degli affreschi, il piano del pavimento interno è stato rialzato (quello originale si trova a meno due metri, dove si vedono anche tracce della zoccolatura dipinta), per poter raggiungere la strada, e il soffitto fu rialzato ancora successivamente, probabilmente nel corso del XIX secolo.
All’interno della chiesa, una serie di affreschi risalenti al tardo XVI secolo decorano le lunette, rivelando il tema iconografico del Trionfo della Morte, nel quale si distingue la rappresentazione ricorrente di uno scheletro. Questo simbolo rimarca l’impermanenza della vita umana di fronte alla morte inevitabile e viene enfatizzato in diverse scene allegoriche a sottolineare il destino ultimo di tutti gli uomini.
Nella parte inferiore degli affreschi, parzialmente coperti da un velario rosso, emergono tracce di una scena figurativa, presumibilmente identificabile con la Cavalcata dei Vizi, simile al modello pittorico presente nella cappella campestre di San Rocco di Mombarcaro. La cornice dell’arco superiore della parete di fondo è ornata con motivi di racemi e candelabri bianchi su sfondo rosso, simili a quelli utilizzati nell’episodio pittorico della calotta absidale della chiesa di San Michele (già San Pietro) a Mombarcaro. Queste similitudini evidenziano chiaramente un’influenza dell’operato di Antonino Occelli da Ceva, sottolineando così una netta connessione storico-artistica tra le due chiese di Mombarcaro e questa, geograficamente vicinissime.